Klappar, la voce fuori dal gregge



Klappar, la voce fuori dal gregge




Klappar si interroga, Klappar risponde, Klappar fa il latte,


Klappar legge, Klappar scrive, Klappar fa la maglia,



insomma Klappar sgobba tutto il giorno come un mulo MA…


è una PECORINA!!!





martedì 7 dicembre 2010

Klappar, il Mistero Buffo

Domenica pomeriggio sono stata a teatro. O meglio, sono stata AL TEATRO: al Regio di Parma. Mi sono anche lavata la codina per l’occasione. Lo so cosa state pensando: “Ma come? Era uno spettacolo pomeridiano, nemmeno una prima e neanche un’opera”. Beeeeeh, ma cosa volete che vi dica? Io al Regio non c’ero mai stata e mi sentivo un po’ emozionata per l’occasione. Quale?
Lo spettacolo di Paolo Rossi “ Mistero Buffo di Dario Fo. P:S: nell’umile versione pop.”

Ragazzi, mi è piaciuto! Ah, per prima cosa devo ammettere che lo spettacolo originale di Dario Fo non l’ho visto, perciò non azzardo confronti, ma prometto di colmare la lacuna (d’altra parte sono una semplice pecorina autodidatta, e per farvi capire cosa significhi sappiate che le mie colleghe arrivano a Dolly e le più colte a Maria De Filippi).
Naturalmente, non pensare a Dario Fo e alla sua maniera di riempire da solo il palcoscenico e di trascinare e farsi trascinare dal racconto in gramelot o nel dialetto padano che lui stesso ha recuperato non è possibile, ma non si avvertiva il peso del raffronto. Io non ho pensato nemmeno una volta: “beeeeeh, ma come lo fa Dario Fo è tutta un’altra cosa!”
Paolo Rossi ha costruito uno spettacolo rispettoso dell’originale ma lo ha reso proprio. E’ rimasto se stesso, ha rispettato il testo e ha rispettato la sua chiave teatrale e comica.
Capirete quindi perché l’operazione difficilissima in cui si è cimentato può dirsi riuscita. Anche dove la scommessa sembrava più difficile. La lingua. Mica semplice, come dicevo prima.. Però Paolo Rossi ha trovato anche qui la sua strada: farne la versione pop, cioè popolare, che si adatta a tutte le culture, anche a quelle che quarant’anni fa non erano così vicine a noi come lo sono ora: ed ecco che nel dialetto trecentesco spuntano termini inglesi e slogan pubblicitari. E’il nostro gergo, o no?!? Ammetto che mi sarebbe piaciuto sentire qualche belato, ma capisco che una sola Pecorina tra il pubblico non basta per ottenere tanta attenzione all’intercalare degli ovini.. magari un beeehl giorno..

La prima cosa che ho pensato uscendo dal teatro (a parte che avevo fatto bene a non tosarmi a fine settembre visto il freddo che è arrivato) è stata che avevo appena assistito a uno spettacolo che raccoglie in sé tutte le caratteristiche fondanti del teatro e ne ripercorre quasi la storia.
Per prima cosa, come ha scritto Silvio D’Amico, Il Teatro vuole l'attore vivo, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico; vuole lo spettacolo senza la quarta parete, che ogni volta rinasce, rivive o rimuore fortificato dal consenso, o combattuto dalla ostilità, degli uditori partecipi, e in qualche modo collaboratori.” E Paolo Rossi lo ha ben compreso e sfruttato ( ma Dario Fo è stato un grande maestro anche su questo..magari un giorno vi racconterò di quando l’ho incontrato quest’estate) giocando con il pubblico, conducendolo attraverso i mille registri che lo spettacolo di volta in volta assumeva. Abbiamo riso tanto, tra satira pungente e gags ben congegnate, abbiamo anche versato una lacrimuccia (cosa volete farci, sono sempre stata un agnellino sensibile) e alla fine ci siamo accorti che quelle risate e quelle lacrime riguardavano proprio noi, uomini (e pecore) che si devono confrontare con interrogativi grandi, con responsabilità da cui nessuno si può sottrarre, con speranze disattese, volontà e forze che non sospettiamo di possedere e la costante capacità di riderci un po’ su.

E il teatro non è forse questo? Non è forse un luogo, una situazione in cui l’uomo si interroga su di sé? In cui l’uomo vede agire se stesso nelle azioni compiute dai personaggi? Non siamo forse noi quelli che parlano e si muovono sulla scena? Non viviamo quelle esperienze mentre vi assistiamo?
Con la cultura non si mangia..forse no, ma si pensa, si vive, si guadagna la libertà e la speranza. Che a mio parere è meglio di un piatto di germogli. E guardate che io sono golosa.

2 commenti:

  1. Il teatro. Il Palco. Io ho sperimentato sulla mia pelle l'espressione del respirare il fiato del pubblico e del sentire l'energia e il calore ti chi ti guarda, è così, è proprio così è un movimento di energia pazzesca che ti fa uscire quello che hai dentro...cara pecorina, tu eri nel camerino ma sai benissimo a cosa mi riferisco :-).

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  2. Certo che lo so! E alla prossima, cioè alla super finalona (speriamo!)

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